Il re pallido di David Foster Wallace

Titolo: Il re pallido
Autore: David Foster Wallace
Editore: Einaudi
Traduttore: Giovanna Granato


Leggo Wallace e mi sento piccolo, ma poi mi sento ricco. Lo leggo e provo molte volte invidia, per quel “famoso” suo genio, per quella sua capacità innata e costruita con meticolosità e osservazione di parlare della vita come se la si stesse vivendo, con tutti i suoi turbamenti, le sue angosce, le sue tristezze, le noie, le gioie e quanto nella vita si sente e si prova. Quella sua capacità di rendere vivo e descrivibile qualsiasi dettaglio che sia pure un dettaglio insignificante, e alla fine invece tutto significa molto. Come se non descrivesse la realtà, ma descrivesse la mente che crea la realtà, o che si figura la realtà, la mente che è sempre più di quello che esprime attraverso il linguaggio, i pensieri che son sempre concettualmente migliori in testa che espressi a parole, e per lui invece son parsi tali e quali nell’uno e nell’altro contenitore. Uno capace di rendere i periodi lunghi pagine e di portare lontano il punto, perché la vita sembra fatta di molte più virgole che punti.

L’ho letto e mi è parsa una sfida eterna. A leggerlo c’è voluta pazienza. Leggerlo è stato un esercizio alla lentezza: settecento e più pagine, cinquanta capitoli, alcuni lunghissimi, altri brevi una pagina, vari appunti e divagazioni, tutti strutturati in flussi infiniti e frammenti di pensieri. Eppure nell’immergersi del testo, si perde il senso del tempo e le pagine scorrono agevoli mentre qualcuno dall’esterno può vederti addosso sorrisi, ghigni, espressioni di scoramento e il viso comunque alterarsi. Altre volte il tempo sembra non passare mai, lo guardi e la lancetta dell’orologio sta sempre lì, e ti annoi, ma ti annoi perché così sembra lui abbia voluto, perché diventi quasi uno dei tanti protagonisti, uno dei tanti dipendenti di quel Ccr (Centro controlli regionale) dell’Agenzia delle Entrate di Peoria, nell’Illinois, dove tutto converge. E in questo gravitare attorno all’Agenzia, le storie drammatiche, che fan sorridere e commuovere si disperdono e perdono personalità nel lavoro ripetitivo, paziente, robotico, in quel leggere e controllare e impilare moduli uno dopo l’altro, nella noia dell’ufficio, nelle dichiarazioni dei redditi che non finiscono mai, nella burocrazia che aliena. Così ogni giorno è vedere chi resiste di più.

Son tante le storie e son tanti i personaggi che raccontarle tutte sarebbe come scrivere un altro libro; le infanzie difficili, la malattia, la morte, le droghe, l’università, il bullismo, e così via. Di tutto, davvero di tutto, tutto quel che di più ordinario c’è, l’ordinario che diventa straordinario, l’ordinario che con Wallace diventa interessante. Tra ossessioni e ripetizioni, tutte queste storie si riducono dentro gli uffici dell’Agenzia, nella maglia burocratica, nella noia assoluta che è un po’ una noia universale e senza confini, una noia che si scopre utile. Solo superandola e resistendole Wallace ci insegna quel che ha imparato:

Ho imparato che il mondo degli uomini così com’è oggi è una burocrazia. È una verità ovvia, certo, per quanto ignorarla provochi grandi sofferenze.
Ma ho anche scoperto, nell’unico modo in cui un uomo impara sul serio le cose importanti, la vera dote richiesta per fare strada in una burocrazia. Per fare strada sul serio, dico: fai bene, distinguiti, servi. Ho scoperto la chiave. La chiave non è l’efficienza, o la rettitudine, o l’intuizione, o la saggezza. Non è l’astuzia politica, la capacità di relazione, la pura intelligenza, la lealtà, la lungimiranza o una qualsiasi delle qualità che il mondo burocratico chiama virtù e mette alla prova. La chiave è una certa capacità alla base di tutte queste qualità, più o meno come la capacità di respirare e pompare il sangue sta alla base di tutti i pensieri e le azioni.
La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz’aria.
La chiave è la capacità, innata o acquisita, di trovare l’altra faccia della ripetizione meccanica, dell’inezia, dell’insignificante, del ripetitivo, dell’inutilmente complesso. Essere, in una parola, inannoiabile. Ho conosciuto, tra il 1984 e l’85, due uomini così.
È la chiave della vita moderna. Se sei immune alla noia, non c’è letteralmente nulla che tu non possa fare.

Questo è Il re pallido, “un inno all’utilità della noia”, l’ultimo lavoro postumo e incompiuto di quel genio suicida che David Foster Wallace era; messo assieme e reso armonico dall’amico editor Michael Pietsch.

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